07 maggio 2007

"The Prestige"

Un uomo contro un altro uomo. Un prestigiatore contro un altro prestigiatore. Un duello all’ultimo sangue (nel vero senso della parola) scaturito da un primo atto d’orgoglio, il sacrificio di una donna che ha dato inizio alla guerra (come spesso accade).
Nell’Inghilterra di fine ‘800 due prestigiatori, con due opposti modi di vedere la vita (e la magia, cioè la vita, appunto), lavorano presso la stessa compagnia, quando uno dei due (Bale), il più geniale ma anche il più goffo, decide che per rendere i numeri di magia più memorabili e più unici, è necessario innovare, sperimentare, anche a costo di mettere a repentaglio la vita umana. Così, durante un numero, stringe più del dovuto il nodo ai polsi della moglie dell’altro, nodo da cui avrebbe dovuto agevolmente liberarsi una volta immersa nella consueta vasca piena d’acqua, ma che invece sarà la causa della propria morte. L’altro (Jackman), molto più show-man, ma meno incline alle novità rischiose e spettacolari, nonché marito della sventurata, gli dichiara guerra.
Una guerra che degenera presto in colpi e numeri di magia sempre più straordinari e difficili, fino a quando sui giornali non appare il richiamo al numero dei numeri, al trucco dei trucchi, a ciò che più di ogni altro avrebbe giustificato il sacrificio di una vita intera: il “trasporto umano”, inventato dal mago più goffo dei due, ma che provoca l’invidia dell’altro, sicuro di poterlo mettere in scena meglio, una volta scoperto il trucco. Riuscirà a scoprirlo? Oppure ne escogiterà uno tutto suo?
Il grandissimo regista Nolan, dopo alcuni film memorabili (“Memento”) e altri decisamente meno riusciti (“Insomnia” e in parte anche “Batman begins”), qui dirige al suo meglio, in autentico stato di grazia, capace di tirare fuori il meglio delle capacità recitative dagli interpreti (su tutti, il mitico David Bowie nei panni nel grande scienziato Nikola Tesla, realmente esistito).
Il film potrebbe essere suddiviso in blocchi, in ognuno dei quali il protagonista è uno dei due prestigiatori, a fasi alterne, in modo che sia chiara la percezione dell’escalation del loro rapporto, che è di stima e odio profondo; lo scopo principale di tale struttura, comunque, è probabilmente il tentativo, perfettamente riuscito, di far percepire allo spettatore l’ineluttabilità del colpo di scena e soprattutto la realizzazione delle parole di Caine, secondo il quale “voi, in realtà, non volete vedere, perché vi piace essere ingannati”. Queste parole sono la chiave di tutto. In fondo, se ci pensiamo bene, che altro è questo, se non il cinema stesso?
Voto 9,5 (****1/2)

"Il diavolo veste Prada"

…ovvero “come avere tra le mani il lavoro più desiderato del mondo e buttarlo alle ortiche per amore del proprio fidanzato e dei propri amici”. Sì, perché la storia narra, con grande brio e senza mai un attimo di stanca, la storia di una ragazza che arriva a New York dalla provincia americana per cercare lavoro come giornalista. Trova, invece, lavoro come seconda assistente della direttrice della rivista di moda più rinomata del mondo. Un lavoro per il quale “milioni di ragazze ucciderebbero”… Già, peccato che la suddetta direttrice sia in realtà un cerbero, una donna affermata che ha sacrificato tutto, ma proprio tutto, per la carriera e il potere. E pretende che coloro che le gravitano attorno si comportino allo stesso modo.
La morale del film è arcinota, ma il pregio principale di questo lungometraggio sta nel descrivere con dovizia di particolari un mondo, quello della moda, che appare dorato solo a chi lo osserva dall’esterno, ma che all’interno è governato da regole spietate, come, per la verità (il regista non lo dice, ma lo fa capire), il mondo dell’imprenditoria in genere.
Film sorprendente, che riesce a far apparire a volte persino simpatica una realtà che solitamente sfugge dall’interesse dei comuni mortali; un tagliente ritratto dell’upper class newyorkese, divisa tra feste e superficialità di ogni tipo.
Menzione speciale per la Streep, bravissima come sempre, ma soprattutto per l’incredibile Stanley Tucci: impossibile non affezionarsi ai suoi personaggi. Impareggiabile nel ruolo dello stilista gay, il più acuto di tutta la redazione (fate attenzione, ad esempio, a ciò che dice quando sta sovrintendendo al servizio di foto al Central Park).
Ma alla fine il dubbio rimane: “Gabbana con una o due B?”
Voto 8 (****)

01 maggio 2007

"The departed"

La polizia infiltra nell’organizzazione del più potente boss della città un suo uomo, come risposta al sospettato ingresso sotto copertura di un mafioso nella polizia; condite il tutto con grandissimi nomi del cinema di ieri e di oggi e avrete “The Departed” di Martin Scorsese. Per la verità, il film non è lontano dai cliché a cui i mafia-movies ci hanno abituati da anni; ma forse la grandezza di Scorsese sta proprio nel farci trascorrere in un battito di ciglia le oltre due ore di durata del film, grazie non solo alle grandi interpretazioni degli attori (su tutti, sicuramente Mark Wahlberg nella per lui insolita parte del poliziotto brutto, con la pettinatura sfigata e molto, molto volgare e cattivo), ma anche, e soprattutto, alla sua ultradecennale esperienza nel campo.
Un aspirante poliziotto (Damon), che vive fin da bambino sotto l’ala protettiva del più grosso boss della città (Nicholson), riesce non solo ad entrare in polizia, ma perfino a farsi scegliere da due capi (Sheen e Wahlberg) come membro di una unità speciale della polizia, dedicata espressamente proprio a combattere il crimine mafioso in città. Subito dopo, gli stessi due selezionatori scartano un poveraccio, al limite del rifiuto umano (Di Caprio), salvo poi ripescarlo proprio per la sua storia border-line tra onestà e truffa quale infiltrato nell’organizzazione mafiosa. Senza sapere uno dell’altro, e soprattutto senza essersi mai conosciuti, sarà una lotta all’ultimo sangue, a distanza, senza esclusione di colpi.
A mio modesto parere sopravvalutato dalla critica, secondo me è lontano dai migliori film di Scorsese; tuttavia, resta un buon gangster-movie.
Voto 7 (***)